Intervista ad Alessia Camera, autrice del primo libro in italiano sul Growth Hacking

Che libro leggeremo quest’anno? Sicuramente il libro “Startup marketing – Strategie di growth hacking per sviluppare il vostro business”, edito da Hoepli e scritto da Alessia Camera, Digital Marketing Startups e Growth Marketing Manager, professionista e consulente di marketing digitale, con più di 8 anni di esperienza in marketing digitale. Abbiamo avuto modo di conoscere l’autrice durante la presentazione del libro presso Talent Garden Milano Calabiana e abbiamo deciso di intervistarla per cogliere quanto più possibile del mindset di un vero pirata della crescita.  

T: Sei l’autrice del primo libro italiano sul Growth Hacking. Quale testo internazionale consiglieresti a chi si approccia per la prima volta a questa disciplina? 

A: Startup Marketing offre un metodo e un approccio al marketing per chi fa startup. Si tratta di un metodo completo per chi ha un progetto e vuole capire come sviluppare strategie per sviluppare il proprio business analizzando l’idea, gli utenti beta, l’MVP, le strategie pull push e di prodotto, le metriche, i dati, le KPI e molto altro.

La vera differenza con altri testi sta nel suo approccio totalmente pratico: grazie alla mia esperienza con startup, ho trattato esempi concreti vissuti in prima persona.

Nel panorama internazionale, ci sono molti libri che vale la pena leggere, ti consiglio:

– The 4 Steps to the Epiphany, di Steve Blank
– Hooked, di Nir Eyal,
– The Lean Startup, di Eric Ries,
– Running, Lean di Ash Maurya,
– Traction, di Weinber/Mares
– Hacking Growth, di Sean Ellis.

Ne ho riassunti una decina che secondo me sono i più importanti in questo articolo sui migliori libri sul growth hacking.
Tuttavia, chi approccia il Growth Hacking dovrà capire fin da subito che si tratta di una disciplina che ogni giorno prevede novità e l’unica vera, affascinante sfida sarà proprio quella di mettere le mani in pasta fin da subito e provare con mano cosa significa.

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T: È celebre il punto di vista di Michael Brenner secondo cui il Growth Hacking “è il futuro del marketing ed è quello che il marketing sarebbe dovuto essere fin dall’inizio”. Cosa ne pensi?

A: Il Growth Hacking è l’innovazione nel marketing digitale, poiché la saturazione dei canali e il calo drastico dell’attenzione degli utenti porta chiunque operi in questo campo ad applicare nuove strategie, da combinare con la creatività e con un approccio basato su analisi quantitative e qualitative.

A Londra è un’innovazione che ormai è entrata a far parte del vocabolario quotidiano: non si parla più di Growth Hacking, il concetto è stato assorbito nel Product Marketing e nel Marketing Digitale. Si tratta, quindi, di skill che sono diventate la base per chi si occupa di digitale per progetti innovativi e startup. Ma nonostante questo sono fermamente convinta che il Growth Hacking non “sia per tutti” anche se tutte le aziende possono imparare dal mindset delle startup.

Sono d’accordo con Michael Brenner, credo che l’approccio di chi opera in una grande azienda sia fondamentalmente diverso da quello di una startup, non solo dal punto di vista di budget ma anche organizzativo e strutturale. Per quanto sia facile capirlo, non è altrettanto facile applicarlo e l’ho visto direttamente, lavorando in PlayStation: non è possibile avere la stessa velocità e lo stesso approccio lean e sperimentale. Quindi, non mi fiderei troppo delle citazioni di chi vede il Growth Hacking come il futuro delle corporate più tradizionali, e soprattutto, non metterei il suo pensiero allo stesso livello di chi ha applicato questi concetti ogni giorno, come Sean Ellis, Andrew Chen e molti altri.

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T: Qual è dunque, secondo te, la differenza principale tra Growth Hacker e Marketer tradizionale?

A: Il marketing tradizionale si differenzia dal Growth Hacking per un maggior focus sulle fasi iniziali del customer funnel, come branding e acquisition, mentre il Growth Hacking considera parti del processo di marketing anche le fasi successive del customer journey, come la retention, il referral e il revenue. Quando lavoravo in PlayStation c’erano interi team che si occupavano del supporto ai clienti, delle vendite e dell’ottimizzazione dei prodotti con un’organizzazione a silos che spesso impediva l’ottimizzazione di strategie cross-team.

Con le startup e le PMI ciò non avviene: chi si occupa di marketing deve presidiare qualsiasi relazione con i clienti al fine di ottimizzare la loro esperienza e imparare il più possibile dal loro comportamento d’acquisto.

T: Qual è la caratteristica imprescindibile per un aspirante Growth Hacker?

A: La volontà di sperimentare sempre nuovi tool e campagne, la focalizzazione su obiettivi e risultati senza avere paura di sbagliare. Nel Growth Hacking potenzialmente non si sbaglia mai, si impara sempre qualcosa di nuovo.

T: In Startup Marketing analizzi il caso Mint: qual è la tua case study preferita?

A: In Startup Marketing analizzo moltissimi casi, perché credo siano il modo migliore per capire, apprendere e applicare le strategie di Growth Hacking.

Ho analizzato alcuni fallimenti, come quello di Burpn che ha portato i founder a focalizzarsi su alcune funzionalità specifiche e a creare Instagram, così come casi di successo, come Airbnb, Dropbox, Facebook e molti altri.

Mint.com è una case history che mi piace molto poiché è uno dei primi esempi di approccio sperimentale, basato sui numeri, con un segmento di pubblico specifico. Il Growth Hacking ha permesso una crescita esponenziale, utilizzando molteplici canali e strategie che sono state applicate nelle diverse fasi del customer funnel. Inoltre, fa riferimento a un prodotto finanziario, considerato generalmente noioso e di poco appeal per il mercato.
Mint.com è un esempio perfetto di come, partendo da un ottimo prodotto, la giusta combinazione di dati, canali e strategia sia in grado di far raggiungere risultati strepitosi.

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T: Nell’ultimo capitolo del tuo libro elenchi gli errori da evitare in ambito Growth Hacking: qual è il peggiore?

A: Li ho vissuti tutti e cinque e non so se saprei stilare una classifica, sono tutti e cinque da evitare! Tuttavia, tra i cinque, il peggiore in ambito Growth Hacking è sicuramente quello di non identificare gli obiettivi e le metriche.

Dal momento che il Growth Hacking si basa sui dati, non prenderli in considerazione nelle proprie strategie e non definire obiettivi e metriche significa non occuparsi affatto di Growth Hacking. Anzi, si sviluppano strategie di marketing basandosi su percezioni personali che alla fine non porteranno ad alcun risultato concreto. Solo l’analisi dei dati integrati in un sistema di metriche e obiettivi, infatti, ci permetterà di capire se stiamo andando nella direzione corretta. Non ci sono trucchi o segreti di un Growth Hacker a parte una buona predisposizione verso l’analisi dati.

T: Nel tuo lavoro ti interfacci con numerose startup e progetti innovativi. Come vedi il panorama startup italiano? Quali sono le prospettive?

A: Il panorama italiano è in forte crescita, nonostante tutte le difficoltà, quindi ho un sentore positivo per il futuro. Alcune startup che riescono a entrare nei programmi di accelerazione mondiali fanno ben sperare. Mi auguro che possa nascere e crescere un vero ecosistema, in modo da dare opportunità concrete alle startup nelle diverse fase di crescita.

Tuttavia credo ci siano alcuni problemi di fondo che spero presto si risolvano, come l’eccessiva frammentazione tra piccole città, che non porta a nessun vantaggio dal punto di vista internazionale, la politicizzazione di alcuni ambienti, dove le startup vengono strumentalizzate per raggiungere altri obiettivi e la mancanza di formazione e di scambio di esperienza reale tra chi opera nel mondo startup: ci si ferma sempre alla superficialità e alla teoria, senza dare il giusto merito a chi veramente si rimbocca le maniche e ottiene risultati concreti.

 

19 luglio 2017

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